Regista: Olias Barco
Attori protagonisti: Aurélien Recoing, Virgile Bramly, Daniel Cohen, Virginie Efira, Bouli Lanners, Benoît Poelvoorde, Saul Rubinek
Anno: 2011 (Belgio)
Genere: commedia, drammatico
Ecco un film che ha riscosso un notevole successo di critica e che ha vinto premi cinematografici di rilievo ma che sorprende per l’allucinato carosello di emozioni (rancori, paure, vanità, eccetera) che si sovrappongono sullo sfondo bianco-nero di un’ambientazione sobriamente povera pur nel lusso dell’antica dimora nobiliare e di un paesaggio immerso nel silenzioso e gelido isolamento invernale. Una pellicola in bianco e nero che esalta la crudezza delle storie e l’essenzialità minimalista dei dialoghi. L’ironia serpeggia nell’intreccio delle sequenze ma è sempre più amara via via che inesorabilmente si avvita un’allucinante spirale di folle violenza, omicida e suicida, sfociando nella più completa degenerazione della supposta pietas che caratterizzava l’originaria intenzionalità dell’assistenza al suicidio. Le insanabili contraddizioni psichiche dell’individuo e dei gruppi sociali sovvertono ogni ordine temporale e spaziale e ogni razionalità progettuale sull’interazione vita e morte. Le macabre e surreali considerazioni macroeconomiche sul suicidio diventano l’epitaffio finale sulle labbra del dottor Kruger, gestore della clinica dedicata al suicidio assistito.
Perché un palliativista dovrebbe vederlo? Perché è un film inquietante che si incide stridendo nella memoria come un vaccino contro le eterne e spesso pericolose utopie che affascinano da sempre l’uomo e che non possono non aleggiare anche nel fine vita.
Segnalazione di Luciano Orsi (luciano.orsi@aopoma.it)