Autore: Beppino Englaro, Giulia Facchini Martini, Pierluigi Di Piazza, Vito Di piazza. Postfazione di Marinella Chirico.
Edizione: nuovadimensione
Anno: 2016
Pagine: 60
Prezzo: 14 euro
Codice ISBN: 978-88-89100-97-4

I contributi presenti nel volume collettaneo Vivere e morire con dignità non intendono dare risposte definitive agli interrogativi che immancabilmente sorgono quando si tratta di stare accanto ad una persona cara negli ultimi giorni della sua vita, o ai dilemmi etici che incontrano i professionisti della salute mentre si chiedono quale sia il confine tra cura ed accanimento terapeutico, quando si ha la sensazione che, più che aiutare la vita, si cerchi di impedire la morte.

Le testimonianze riportate hanno piuttosto lo scopo di tenere acceso l’interesse, il dialogo e il confronto su tematiche attuali ed importanti come la sofferenza, la malattia e la morte, componenti inevitabili della vita stessa ed il morire con dignità ne è parte irrinunciabile. Si tratta di pensieri ed opinioni di autori che, per dolorose esperienze personali o per scelte professionali, hanno deciso di confrontarsi con il tema del fine vita.

Si parla ancora troppo poco di questi temi ma nello stesso tempo si agisce, negli ospedali, nelle case di riposo e altrove, ma in che modo?

I progressi della medicina permettono un intervento sempre più efficace sulla persona malata ma al tempo stesso richiedono un supplemento di saggezza che capire quando non è più il caso di proseguire in trattamenti che non giovano più alla persona, senza mai perdere di vista la volontà del malato, l’unico che può decidere se le cure che gli vengono proposte rispondono alla sua opinione di qualità di vita.

Il volume si apre con la testimonianza di Beppino Englaro, padre di Eluana, che racconta la sua estenuante battaglia affinché alla figlia fosse permesso di riprendere “il processo del morire” interrotto dai trattamenti rianimatori, consentendole finalmente di abbandonare quello stato vegetativo durato diciassette anni, lucidamente definito “privo di morte e orfano di vita”. Una vicenda fin troppo nota e strumentalizzata che ha però permesso di riflettere sui rischi di una medicina che non riesce fino in fondo ad essere al servizio della persona, che non può sfociare in una condanna a vivere e ignorare che le scelte sul fine vita appartengono a ciascuno di noi.

Il contributo di Pierluigi Di Piazza, sacerdote e teologo, pone l’accento sull’importanza di un approfondimento etico, culturale e spirituale che prepari la società ad affrontare i temi del fine vita. Un invito rivolto anche chi è chiamato a legiferare in ambiti così delicati, una responsabilità che esige un dialogo rispettoso tra posizioni diverse, ascoltando ed interpretando i bisogni espressi dalla collettività, svincolandosi da pregiudiziali ostracismi ideologici-sacrali o laicisti.

Egli parla della vita come un dono, ma viene riconosciuta la libertà delle decisioni, unita alla responsabilità personale delle stesse, di una fede che “aiuta” le scelte delle persone, non le contrasta e non le ana.

Vito Di Piazza esprime invece il punto di vista medico sul tema. Attraverso la sua esperienza sul campo egli ci mostra come affrontare il tema del fine vita sia un compito delicato e difficile. Quando si arriva a comprendere che non c’è più a da fare in realtà, scrive Piazza, si può fare ancora molto, prendendosi cura del malato, non per prolungargli la vita ma per migliorare il più possibile la qualità dei giorni che gli restano da vivere. Egli sottolinea l’importanza di colmare una grave lacuna nella formazione dei giovani medici, che arrivano impreparati di fronte al momento della morte e alle fasi più o meno lunghe che la precedono. Evidenzia come prevalga ancora una cultura “del fare” e come, nella parte conclusiva della vita, manchi l’etica del prendersi a cuore la cura della sofferenza fisica, spirituale, sociale e psicologica del morente e dei suoi familiari. Egli ci ricorda inoltre come sia importante la comunicazione medico-paziente-familiari, per attuare le scelte terapeutiche migliori, in un continuo dialogo che non può essere sbrigativo bensì esaustivo e sempre improntato alla massima chiarezza ed umanità. Occorre pensare ad una medicina non al servizio della “non morte” a qualsiasi costo, ma a favore della persona stessa, nel rispetto dei suoi valori. “Se vogliamo aiutare qualcuno dobbiamo prima capire che cosa desidera”. Questo è il segreto dell’assistenza. Non è compito dei medici imporre le proprie convinzioni a chi si affida alle loro cure: il malato ha diritto a una cura competente e al rispetto delle sue decisioni.

Giulia Facchini Martini, esperta di Diritto Civile, dà il suo contributo raccontando l’esperienza fatta accanto allo zio morente, il cardinale Carlo Maria Martini e analizzando il significato di termini quali testamento biologico, DAT, amministratore di sostegno e così via. Ne emerge un quadro nel quale, senza dimenticare l’importanza di codici etici e deontologici, a livello legislativo nel nostro Paese ci sia ancora poca chiarezza sui temi di fine vita e ancora molto da fare. In particolare, una legge chiara ed esaustiva sul fine vita, servirebbe non solo a far rispettare la volontà dei malati ma anche ad alleggerire dalla fatica e dalla responsabilità i familiari, troppo spesso lasciati soli di fronte a difficili decisioni.

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Simona Riva (riva.simona@virgilio.it)

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