Autore: Luigi Ciotti
Edizione: ASMEPA
Anno: 2012
Pagine: 44
Prezzo: 5 euro
Codice ISBN: 978-88-97620-63-1
Un libretto, appartenente alla collana Incontri – Le virtù civili, che apparentemente ha poco a che fare con il mondo delle cure palliative, eppure sono contenuti in esso alcuni importanti concetti relativi alla solidarietà che hanno stimolanti connessioni con il nostro lavoro. Il primo concetto è quello che Don Luigi Ciotti definisce il “peccato del sapere”, ossia “la superficialità delle facili semplificazioni, delle etichette” che deve essere invece sostituita da un’attenzione profonda ai dati di realtà per poter conoscere come stanno davvero le cose. Questo è un monito valido anche per chi si confronta quotidianamente con la complessità clinica, relazionale, sociale e spirituale della sofferenza e che permette di evitare che la stanchezza o la fretta aprano la strada alla impoverente semplificazione e alla limitante superficialità delle generiche etichette. Correlato a questo monito l’autore esorta a non cadere negli schemi preconfezionati e nei pregiudizi razziali quando si interagisce con culture, costumi e visioni del mondo diverse dalle nostre. Anche questa sollecitazione è per noi sempre più valida visto il progressivo aumento di assistenze a malati e famiglie in un quadro di multirazzialità e multiculturalità. Un terzo elemento di riflessione è l’accettazione della non riconoscenza da parte di famiglie o, più raramente, di malati durante o dopo un’assistenza che ci ha impegnati al meglio. Questa eventualità suscita sovente un’irritazione o una frustrazione nell’équipe di cure palliative. Il richiamo evangelico al “buon samaritano che se ne va prima che la persona da lui soccorsa si risvegli” è un altro buon monito a non equiparare automaticamente la soddisfazione per aver condotto una buona assistenza con l’espressione di un riconoscimento da parte degli assistiti. Infine, ho trovato suggestiva una citazione di S. Agostino: “La speranza ha due bei figli: la rabbia e il coraggio. La rabbia nel vedere come vanno le cose, il coraggio nel vedere come potrebbero andare”. Questa citazione si correla alle oscillazioni che noi palliativisti compiamo quando ci confrontiamo con ciò che, peraltro giustamente, ci fa arrabbiare (sofferenze non adeguatamente trattate, eccessi diagnostici e terapeutici, congiure del silenzio, ostilità verso le cure palliative, oppiofagia, ecc.) e con la fatica a progettare e implementare le azioni di cambiamento su questi problemi. Forse dovremmo indugiare meno nella sterile indignazione e, invece, usare l’energia della rabbia per pratica con costanza e tenacia l’opera di cambiamento culturale.
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Luciano Orsi (orsiluciano@gmail.com)