Autore: Michela Marzano
Edizione: Einaudi
Anno: 2017
Pagine: 248
Prezzo: 8,99 euro
Codice ISBN: 9788858425428
La famiglia Laurenti: Daria, la madre e Andrea, il marito. Da giovani si resero conto di non poter avere figli.
Daria è figlia di una madre “per caso”, una madre tiepida che non brilla certo per istinto materno.
“A mamma importava poco di me. Madre per caso. Madre perché tutte, prima o poi, hanno figli. Madre purtroppo. Madre nonostante.” Lei, invece, all’età di 25 anni non vuole nient’altro se non un figlio…ma non riesce, non arriva. È giovane, potrebbe ancora aspettare, provare, crederci…ma il suo desiderio si fa urlo, non riesce ad ignorarlo e quindi, con il marito Andrea, adottano Giada, di appena sei mesi.
La felicità è enorme al punto che come a volte succede, riesce a concepire un bambino, suo in tutto e per tutto: un tentativo ripetuto per anni, un vero miracolo quindi o, per alcuni, solo un caso. Quando Giacomo nasce, Daria e il marito si sentono in dovere di dire a Giada che lei è stata adottata, anche se loro non faranno distinzioni: non c’è differenza d’amore tra il figlio naturale e la bimba adottata. Giada cresce felice, il rapporto con Giacomo ed i suoi genitori è buono, la famiglia è felice.
Giada, all’età di 25 anni (la stessa in cui Daria ha sentito forte il bisogno di maternità) ha però un’altra esigenza che le urla dentro: andare alla ricerca delle proprie origini. La vita felice vissuta fino a quel momento s’incaglia, s’inceppa e si arrende ai fantasmi che si nascondono dietro la parola “abbandono”. Chiede scusa e se ne va. Per sempre. Si uccide lasciando un biglietto:
“Vi chiedo scusa. Mi dispiace papà, non ce la faccio più ad andare avanti. Dite a Giacomo che lui sa quello che voglio dire. Dite a Paolo che in fondo non c’entra niente. Dite a mamma che lei è perfetta”
E il mondo di Daria LA MAMMA finisce. Si lascia travolgere, sommergere, inghiottire dal dolore, perché le sembra l’unico modo per restare in contatto con sua figlia, per non perderla davvero. Quella figlia che l’aveva salvata e che credeva di aver salvato. Daria entra in una sofferenza indicibile, almeno per un anno resta a letto a vegetare, facendo il minimo per il figlio rimasto e il marito. Si sente spezzata, non riesce nemmeno a farsi una doccia. Una depressione forte, orribile, contro natura. Daria nutre la sofferenza con devozione religiosa, perché è tutto ciò che le resta della figlia. Una sofferenza buia, dove neanche il marito e l’altro figlio riescono ad aiutarla; davanti allo scandalo di una simile perdita, ricominciare a vivere sembra un sacrilegio. Daria si barrica dietro i ricordi: quando non riusciva ad avere bambini e ne voleva uno a ogni costo, quando finalmente ha adottato Giada e il mondo «si è aggiustato», quando credeva di essere una mamma perfetta e che l’amore curasse ogni ferita.
Una sua amica, Carla, le chiede di iniziare a frequentare un gruppo di auto-mutuo aiuto, una sorta di Alcolisti Anonimi, dove però si parla della disperazione per i figli venuti a mancare. La donna frequenta per due mesi questi incontri ma capisce che non è proprio la strada giusta; allora si decide per l’analisi, per elaborare il lutto e ricordare gli avvenimenti più salienti vissuti con Giada. Si ricorda che la figlia era sempre in ansia, aveva delle crisi di panico da abbandono, “mica mi lascerete mai tu o papà, Giacomo è mio fratello e non posso fare a meno di lui”.
“Paolo è il mio fidanzato e io lo amo molto ma se mi lascia sono senza pelle, non potrei sopportare il suo allontanamento, perché magari si innamora di un’altra”. C’erano le stranezze, le cupezze, gli estraniamenti di Giada. Daria faceva finta di non accorgersene ma la figlia era infelice da diverso tempo e, poi, voleva assolutamente affrontare la madre naturale.
Per prima cosa, quando comincia a stare meglio, Daria si avvicina al figlio Giacomo: pur studiando come un ossesso libri difficili per la sua laurea in Filosofia non dà esami. Si sente in colpa. Un giorno lei decide di accompagnare il figlio all’Università e di fare il tifo per lui. Risultato: un trenta e lode.
Per troppo tempo, praticamente, la famiglia ha vissuto come paralizzata, in un dolore inenarrabile.
Daria segue le orme della figlia e si accorge che si era rivolta ad un avvocato per avere notizie dalla madre naturale, senza grandi successi. La madre adottiva inizia a cercare la madre naturale ……… ed altro ancora.
Un libro fatto di pezzi di scrittura, di flashback, nel desiderio di dare una dimensione a tutto tondo ad ogni singolo protagonista della famiglia, perfino ad Andrea che come padre si è messo di lato, trasformandosi in una “badante” pur di rivedere almeno un piccolo sorriso nel viso della moglie. Questa è una storia di dolore e di perdita, di morte e della sua elaborazione, ma anche una storia sull’importanza delle origini come fattore fondamentale per poter avere e mantenere una propria identità, per trovare una collocazione nel mondo.
È una storia sull’amore che, per quanto immenso, non ricuce lo strappo di un abbandono. L’amore non salva e non ripara…ma accetta, accoglie, soccorre. Ma l’amore è anche necessario, ed è tutto quello che resta, dopo.
La scrittura è asciuttissima, frammentata: capitoli brevi, paragrafi brevi, brevi frasi.
A volte si riavvolge su sé stessa, per sottolineare la tragicità di un momento, di un pensiero, di una parola.
Tutto ridotto all’osso, come se l’autrice non volesse mettere troppe parole fra te e il dolore, per fartelo arrivare prima, così…nudo, pulito, al netto di tutto il superfluo così arriva a destinazione in tutta la sua potenza. Un libro molto, molto intenso.
Michela Marzano scavando nelle relazioni umane, parla di tutti noi. Del nostro desiderio di essere accolti e capiti, della paura di essere abbandonati, del nostro ostinato bisogno di amore, perché «senza amore si è morti, prima ancora di morire».
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