Autore: Daniele Coen
Edizione: Mondadori
Anno: 2019
Pagine: 180
Prezzo: 17 euro
Codice ISBN: 9788804721581

Sin dal primo giorno del primo anno della facoltà di Medicina e Chirurgia cresciamo con due false convinzioni: il mito della medicina come scienza esatta e il principio della infallibilità di noi medici. Come studenti ci fidiamo ciecamente di coloro che ci insegnano l’arte della medicina, ma in realtà commettiamo un errore: ogni medico è un essere umano e, nonostante una eccellente preparazione con i massimi voti cum laude e un’esperienza di anni di corsia, può sbagliare, perché la medicina non è una scienza esatta, e una laurea in medicina non conferisce una “patente di infallibilità”.

Ce lo dimostra Daniele Coen, per molti anni direttore del Pronto Soccorso dell’ospedale Niguarda di Milano, in questo libro che si articola in dieci storie vere con l’unico scopo di rianalizzare, con la logica che contraddistingue l’autore, la vicenda degli errori in medicina. Non siamo in una aula di tribunale dove l’errore diventa colpa né al bar sport dove trasformare in chiacchiera tra amici il nostro senso di inadeguatezza, ma davanti ad un collega che racconta casi clinici vissuti in prima persona o discussi con i colleghi. Ed è attraverso l’attenta analisi di questi racconti che impariamo le diverse cause dei nostri errori, che interagiscono tra di loro in modi e tempi diversi, come l’etica, la preparazione professionale, il sovraffollamento, la disorganizzazione, l’eccessiva “fiducia nel risultato degli esami”, la disattenzione, le difficoltà relazionali, le emozioni come la rabbia, la collera, la paura di sbagliare. Dobbiamo ricordarci sempre che la “diagnosi è un processo probabilistico” in cui la comunicazione verbale con il paziente e/o i suoi familiari e la nostra esperienza professionale sono due elementi fondamentali per non imboccare la strada sbagliata, mantenendo però sempre attivo un elemento di alert: “più il medico si fiderà di sé, più sarà inesorabilmente destinato a sbagliare”.

Conservare vivo dentro di sé il principio di Socrate “so di non sapere” è un potente mezzo per evitare di sbagliare, perché significa “avere l’umiltà di chiedere consiglio, la pazienza di tornare sui propri passi e di rivalutare le proprie decisioni, la capacità di utilizzare il tempo a proprio vantaggio anziché lasciarlo scorrere fino a quando sia troppo tardi”. E l’errore si riduce ancora di più se impariamo a comunicare nel modo giusto con il nostro paziente, dimostrando di capire e di sapere ascoltare, informandolo in modo completo e comprensibile sui benefici e i rischi che ci si può attendere da un intervento o da una cura, senza fare ricorso alla medicina difensiva per la paura di essere denunciati.

Riconoscere la propria indecisione e consigliare un secondo parere di un collega più esperto è una “manifestazione di scrupolo e di attenzione” verso il paziente e non un segno di inadeguatezza, perché la comunicazione è la base del rapporto di stima e fiducia tra medico e paziente. E tuttavia, potremmo comunque sbagliare. “Parliamone!”, come ci esorta l’autore, in momenti strutturati di confronto per non provare la profonda sensazione del fallimento, della vergogna e della inadeguatezza, trasformandoci nella “seconda vittima dell’errore”, e per evitare che lo stesso errore possa essere ripetuto da altri.

E parliamone con onestà anche con il paziente e i suoi familiari, scusandoci senza farci schiacciare dal senso del rimorso, ma facendo nostre le parole di John Powell secondo cui “L’unico vero fallimento è quello da cui non impariamo nulla”.

Erika Poggiali (erikapoggiali2@gmail.com)

 


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