Autore: Gabriele Romagnoli
Edizione: Universale Economica Feltrinelli
Anno: 2015
Pagine: 87
Prezzo: 8,50 euro
Codice ISBN: 978-88-07-88954-7
Immaginate di assistere al vostro funerale, in una bara di legno alla spaghetti western, avvolti in una semplice vestaglia bianca senza tasche (l’ultimo vestito, come dicono a Napoli). C’è la vostra foto appena scattata e infilata in una cornice di crisantemi gialli e nastri neri. La bara viene chiusa con un martello che batte energicamente sui chiodi dei quattro lati, il rumore della manciata di terra che viene fragorosamente gettata sulla bara, e poi il silenzio e il buio. Se tutto questo vi terrorizza, allora lasciate perdere il libro, ma se invece, come Gabriele Romagnoli, siete in cerca di risposte a quelle domande che ogni tanto vi tengono svegli la notte e vi impediscono di dormire sonni leggeri della serie “Life is short. Non sai mai quando accadrà. Nel tuo caso finisce ora. Pensi di essere pronto? Di avere usato al meglio il tempo che ti è stato concesso?”, allora proseguite.
L’esperienza sembra surreale, ma non lo è. Nella Corea del Sud, che detiene il record mondiale di suicidi (circa 30 ogni giorno), esiste una agenzia, la “Korea Life Counsulting” di Ko Min-Su, specializzata in falsi funerali, come quello che vede protagonista il nostro autore. Ma a differenza di chi sceglie questa bizzarra pratica con lo scopo socio-filantropico di desistere dal suicidio, Romagnoli non ha nessuna ideazione suicidaria, piuttosto vuole capire “se, pur attraverso una messinscena, la sensazione della fine aiuta ad afferrare qualcosa, anche solo un’inezia, del banalizzato senso della vita, se fornisce qualche istruzione per l’uso”.
Inizia così il romanzo di Romagnoli, autore e protagonista unico del libro. “Sono stato al mio funerale e ho imparato qualcosa sulla vita. Poche cose, ma quando sono tornato al mondo, facedone tesoro, ho campato meglio”. Ed è in quel silenzio claustrofobico che ha davvero inizio il suo viaggio con lo scopo “non di prepararsi a morire, ma a vivere”, perché “che l’esistenza sia unica non è un limite, ma la sua bellezza”. Nascerà un manuale di istruzioni, o come lo definisce l’autore, “un piccolo manuale di resistenza umana” il cui intento è rivoluzionare l’esistenza dei lettori (o almeno di una parte di loro) per creare “una generazione capace di scegliere sempre la libertà, … di sapere perdere cose e battaglie senza perdersi …. con una inflessibile attrazione verso il presente, inafferrabile, imprevedibile, disancorata dal suolo e dal tempo”. In una espressione unica ma di una potenza incredibile, “in sintonia piena e pura con l’esistenza”. E allora viene facile comprendere il titolo del libro, che è anche l’insegnamento che ci lascia in eredità l’autore al termine di questo “gioco”, come lo definisce lui, ma che in realtà è un crudelissimo e difficilissimo esercizio rivelatorio, nel quale diventa chiaro che davvero una vita di 80 anni contiene solo 46 ore di felicità e 228 a lavarsi la faccia e i denti.
Dobbiamo viaggiare leggeri con la consapevolezza che “tutto è relativo”: il tempo, lo spazio, persino le parole. Inutile e ingiusto pensare alle sliding door, a tutte quelle direzioni che avremmo potuto prendere ma che non abbiamo preso, alle vite che avremmo potuto vivere ma abbiamo scelto di non vivere, e che alcune volte sono state il nostro sogno ricorrente, altre il nostro rifugio. Bisogna viaggiare leggeri, l’indispensabile (non “quel che ci sta” ma “quel che si vuole”) deve entrare in un bagaglio a mano, e per farlo “ti devi dare delle regole e le regole non complicano la vita, semmai l’opposto”. E’ la metafora della vita “one life, one bag”, in cui il bagaglio a mano rivela tutto il superfluo e lascia un carico minimo e perfetto, leggero, privato del peso della fatica di tutte quelle imprese senza senso, delle “relazioni ad alto tasso di manutenzione”, di quello che credevi irrinuciabile ma che in verità è superfluo. “Porta con te chi conta e quel che conta”, e custodisci negli scomparti interni del tuo bagaglio “fagotti” di tutto ciò che va protetto con saggezza dall’invidia e dal tempo, sapendo che “nessuno può proteggere nessuno da tutto e da tutti…che il senso di colpa tende a infilarsi nel bagaglio e a renderlo di una pesantezza intollerabile, ma va scaricato o si resta bloccati e non si va più avanti”.
La vità è un viaggio imprevedibile, non esiste un piano perfetto, ma occorre sempre avere un piano B, “una via d’uscita per l’eventualità” che si traduce dentro di noi in flessibilità, capacità di adattamento, spirito di iniziativa. Nel malaugurato caso di ammaraggio o atterraggio di fortuna, aprire la “duffel bag”, quella borsa ripiegabile che vuota occupa lo spazio di una maglietta, ma aperta ne contiene due decine, può salvarvi la vita e non in senso metaforico, perché anche “quando sembra finita, la vita ricomincia”. E’ inequivocabilmente così. Perdere o perdersi è in realtà avere una occasione, talvolta un percorso necessario, spesso un arrichimento, ed è sempre possibile continuare non recriminando, come insegna l’undicesimo comandamento di Giobbe, ma pensando “a tutte quelle cose che posso ancora fare” invece di “tutte le cose che non posso più fare”. Alleggerire il bagaglio dei ricordi, semplificarli, guardare avanti, queste le indicazioni che Romagnoli ci consegna. “Bagagli troppo pesanti ci inducono a scegliere percorsi più facili per non faticare troppo” e ci portano sulla strada sbagliata, quando invece dovremmo seguire gli insegnamenti del danshari, “l’arte del meno” e imparare a vivere come esseri non ingombranti, come farfalle, libere e leggere, e libere perché leggere. Disperiamoci se necessario. Disperazione e gioia non sono incompatibili, perché “possiamo capire la situazione e disperarci, e tuttavia essere contenti, perché ci siamo, perché capiamo, perchè proveremo a risolverla, e se non ce la faremo, se perderemo, non ci arrenderemo”.
Viaggiare leggeri, essere leggeri, vivere leggeri.
Ma era davvero necessario questo pronto intevento esistenziale per imparare a vivere? Forse sì, forse no. Ogni lettore avrà la sua risposta.
Erika Poggiali (erikapoggiali2@gmail.com)
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