“L’ordinamento giuridico non affatto è indifferente all’esigenza dell’essere umano di entrare nella morte ad occhi aperti”.
Con questa citazione, tratta dalle “Memorie di Adriano” della scrittrice francese Marguerite Yourcenar, si chiude una recente sentenza della Corte Suprema di Cassazione (Cassazione Civile sez III, 15/4/2019, n 10424) che, proprio per il contributo innovativo nell’ambito della visione e gestione dei percorsi di “fine vita”, avrà sicuramente importanti conseguenze anche per il mondo delle Cure Palliative.
Il caso riportato alla Corte è quello di una Signora deceduta nel 1997 a causa di un sarcoma uterino, inizialmente (circa 9 mesi prima della diagnosi corretta) erroneamente diagnosticato come tumore benigno. Nelle motivazione della sentenza (che condanna l’ASL di Lecce al risarcimento dei famigliari della malata) ciò che appare come “rivoluzionario” in termini di tutela del malato è il fatto che la Corte sottolinei come nonostante il ritardo diagnostico non abbia di per sé probabilmente condizionato una minore sopravvivenza, ciò che invece è stata sicuramente lesa è la capacità della malata di “determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali”, una volta a conoscenza di essere affetta da una patologia ad esito sicuramente infausto.
In una sentenza ampiamente innovativa, che richiama apertamente i principi della Legge 38 e della più recente Legge 219 del 2017 e che a tratti sembra stesa da un esperto palliativista, si ribadisce più volte che il ritardo o la mancata comunicazione di una diagnosi di malattia a prognosi sicuramente infausta, include la perdita di un ventaglio di opzioni con le quali affrontare la prospettiva della fine ormai prossima, quindi non solo la eventuale scelta di procedere nei tempi più celeri possibili all’attivazione di una strategia terapeutica o la determinazione per la possibile ricerca di alternative di indole meramente palliativa, ma anche la stessa decisione di vivere le ultime fasi della propria vita nella cosciente e consapevole accettazione della sofferenza e del dolore fisico in attesa della fine, giacchè tutte queste scelte appartengono, ciascuna con il proprio valore e la propria dignità, al novero delle alternative esistenziali.
Luca Riva (lu.riva@asst-lecco.it)