Questa interessante riflessione che Lukas Radbruch, docente di cure palliative presso l’Università di Bonn (Germania) e membro del board della International Association for Hospice & Palliative Care (IAHPC), conduce con immediatezza al cuore del problema della valutazione della qualità in cure palliative. Radbruch parte dalla constatazione che l’auspicata istituzionalizzazione delle cure palliative e il loro ingresso diffuso nei sistemi sanitari pone due problemi: la competizione per le risorse con altri settori della sanità e la competizione con erogatori di cure palliative di qualificazione e qualità insufficiente. Di qui la necessità di valutare la qualità dei servizi erogati e dei risultati ottenuti. Ma la storia decennale della ricerca HOPE (Hospice and Palliative Care Evaluation) in Germania insegna come sia difficoltoso individuare e applicare buoni indicatori di qualità. Infatti la navigazione per la valutazione della qualità deve tenere una difficile rotta fra Scilla (l’intrinseca difficoltà nel misurare fenomeni altamente soggettivi ed elusivi come la qualità di vita, la qualità di morte, la dignità, eccetera) e Cariddi (la fragilità dei nostri malati spesso impossibilitati a rispondere a questionari più o meno complessi). L’autore conclude che abbiamo bisogno sia delle storie (per poter capire qual è il significato che ogni malato assegna alla qualità della propria vita e morte o della personale dignità) sia di strumenti di valutazione (come per esempio l’ESAS e il POS) per poterci avvicinare all’obiettivo.
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segnalazione di Luciano Orsi (luciano.orsi@aopoma.it)