A parte tutte le cose sacrosante che sono scritte in questo articolo mi ha colpito in modo particolare il riferimento alla parola ‘terminale’, definita come ‘un’espressione orrenda’, che ‘sembra messa lì per giustificare il fatto che la sofferenza e il dolore hanno una gradazione inferiore rispetto ad altre urgenze mediche.’. Perché è di questi giorni una discussione con un paziente e la sua famiglia proprio circa questo vocabolo. Perché uno specialista d’organo che ha visto in consulenza il paziente gli avrebbe detto di ricordare ai palliativisti che lo seguono a domicilio che lui non è un paziente terminale e quindi non deve essere trattato come gli altri pazienti seguiti dalle cure palliative. Questo per dire quanto sforzo culturale ancora e sempre dobbiamo fare per penetrare e contaminare in termini di comunicazione e presa in carico della sofferenza non solo fisica del malato e della sua famiglia.
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Daniela Martinelli ( daniela.martinelli@asst-mantova.it)