Gira sui social questa poesia di Andrea Melis ‘parolaio’. Chi lavora in cure palliative è abituato a vivere ogni giorno a contatto con l’incertezza e la precarietà della vita, anche se riguarda un altro da sé. Parliamo più spesso di morte e ci troviamo più spesso ad affrontare comunicazioni difficili. E questo lavoro ci porta spesso a rivedere le nostre priorità, a dare un peso diverso agli accadimenti della vita quotidiana, a cercare di godere di più dei piccoli gesti di ogni giorno.

Il cantico delle paure

Lavatevi le mani
ma andate scalzi
e baciate la terra
ferita
starnutite pure nel gomito
ma leccate le lacrime di chi piange
non viaggiate a vanvera
ora è tempo di stare fermi
nel mondo
per muoversi in noi stessi
dentro gli spazi sottili
del sacro e dell’umano,
indossate pure le mascherine
ma fatene la cattedrale del vostro respiro
dell’afflato del cosmo,
ascoltate pure il telegiornale
che finalmente parla di noi
e del più grande miracolo
mai capitato:
siamo vivi
e non ci rallegra morire.
Per ogni nuovo contagio
accarezzate un cane
piantate un fiore
raccogliete una cicca da terra,
chiamate un amico che vi manca
narrate una fiaba a un bambino.
Ora che tutti contano i morti
contate i vivi,
e vivete per contare,
concedete solo l’ultimo istante
alla morte
ma fino ad allora
viviamo all’infinito,
consacriamoci all’eterno.

Daniela Martinelli (daniela.martinelli@asst-mantova.it)

 

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